a cura della Dott.ssa Deborah De Giorgi
Esco di casa, chiudo la porta, scendo le scale e incontro una condomina con il cellulare in mano… esco dal portone, alzo lo sguardo e penso: “Wow: è una splendida giornata di sole!”, abbasso lo sguardo e vedo entrambi i membri di una coppia intenti a rispondere a dei messaggi, entro in metro e ogni persona ha il cellulare in mano; entro in un bar per prendere un caffè e vedo gente seduta al tavolino costretta a svolgere un lavoro cognitivo non indifferente: rispondere all’interlocutore che gli si trova accanto e rispondere ai 1000 messaggi e notifiche che arrivano sul cellulare; torni a casa la sera e vedi tuo figlio di 8 anni chiudersi nella sua stanza e ti chiedi perplessa come sia consapevole che esista una porta che fino a ieri è rimasta sempre aperta… in quel momento sei distratto da tuo figlio adolescente che alzando la voce inizia una conversazione al cellulare con “bella bro!” e proseguendo con parole criptiche dall’oscuro significato. Tutto ciò che era impensabile oggi si è tramutato in normalità. L’essere umano è per natura relazionale e ha la necessità di confrontarsi, di essere visto, di ascoltare e di essere ascoltato per poter conoscere sé stesso e crescere. La pandemia ci ha mostrato quanto sia indispensabile avere un ambiente sociale che, a causa dell’isolamento forzato, è stato ridefinito attraverso l’uso o abuso delle nuove tecnologie. L’ambiente sociale reale ha ceduto il passo ad un ambiente virtuale in cui possiamo essere ciò che non siamo: mostrarci felici quando siamo tristi, postare una foto indossando un abito da sogno appena provato in un negozio oppure, viceversa, mostrare il lato peggiore di noi stessi.
Il sociologo Bauman, durante una conferenza stampa alla Camera di Commercio di Milano in occasione del suo intervento a Meet the Media Guru del 2013, ha riflettuto su come i social media abbiano modificato le nostre relazioni e la nostra vita, rendendo tutti noi più fragili…mi chiedo invece se il punto di partenza debba essere spostato verso questa fragilità emotiva e relazionale da cui deriva l’uso massiccio dei media. La sindrome di Hikikomori che sta prendendo sempre più piede in Italia, sembra essere una possibile manifestazione di una ferita interiore da ricercare in un’errata percezione dell’immagine di sé con conseguenze negative sul piano del self efficacy e dell’empowerment. Continua Bauman: “Con smartphone, tablet e pc, noi siamo sempre presenti, sempre connessi”, i social media appaiono sempre più come una via di fuga dai problemi reali e dalle relazioni reali (Cantelmi et al. 2000). Lo smartphone diventa una barriera che protegge e giustifica una deresponsabilizzazione nei rapporti interpersonali; per Bauman la relazione è così costituita da connessioni fragili e facili da spezzare in cui scompare la necessità di una giustificazione per interrompere la comunicazione stessa(ghosting).
Lo stesso autore insieme ad altri colleghi afferma che vi è un lato positivo nella tecnologia ma il rendersi dipendenti da essa svaluta le relazioni offline. Durante un webinar lo psicologo Paolo Mai (2023) ha chiesto ai partecipanti se Tik Tok fosse un’esperienza positiva per i ragazzi, la maggioranza si è espressa negativamente, ma il dott. Mai ha voluto far notare come Tik Tok sia diventato un “luogo” in cui i giovani si sentono liberi di esprimere la loro creatività. Scrive la dott.ssa Lucangeli citando la Montessori: “il bambino rivela sé stesso solo quando è libero di esprimersi…l’educazione…deve basarsi sulla libertà del bambino di sviluppare la propria innata creatività, di sperimentare facendo affidamento sulle proprie risorse, di autoregolarsi prendendo coscienza delle proprie azioni e delle loro conseguenze.” Forse ciò che manca è uno spazio reale in cui i giovani possano esprimere la loro creatività, in cui conoscere se stessi attraverso gli altri diversi da sé in un incontro Io-Tu di cui parla Buber (Tosti G. 2021) e che faccia nascere dal cuore “l’I care” di cui parlava don Milani. I colori, le emozioni, il calore di un abbraccio, la presenza fisica dell’altro non può rappresentare un’opzione. La robot therapy richiama alla memoria l’esperimento sulla relazione di attaccamento di Harlow e i commoventi studi di Ferenczy ponendoci davanti a un interrogativo: da che parte stiamo andando? Come esseri umani nasciamo dipendenti dall’altro e la relazione stessa nutre il bambino come il cibo che gli viene fornito dal caregiver. Oggi, grazie agli studi svolti sull’influenza dell’ambiente nell’apprendimento -nature/nurture- (Lucangeli D., Vicari S.) siamo molto più consapevoli di quanto sia fondamentale l’uso di contenuti che esprimano valore, motivazione e speranza. Il vuoto, la mancanza di senso della vita di cui sentiamo spesso parlare tra i giovani, è conseguenza di una perduta autenticità, della scomparsa di un ambiente sociale reale, un luogo di condivisione, di confronto e di crescita. Puntare sulle risorse dei giovani e co-costruire con loro spazi in cui poter vivere incontri, anche intellettualmente stimolanti e motivanti, sembra essere una possibile strada da percorrere per riscoprirsi un Noi relazionale.
L’IPDM, attraverso percorsi differenziati, offre un luogo sicuro in cui potersi esprimere liberamente, in cui riscoprire la bellezza di essere reali e il momento in cui riscoprire l’autentica magia del confronto.
Bibliografia
Aron L., Harris A. (1993), L’eredità di Sàndor Ferenczi, Edizioni Borla, Roma, 1998.
Cantelmi, T., Lambia, E., Pensavalli, M., Laselva, P., & Cecchetti, S. (2020). COVID-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale. Modelli della Mente (ISSNe 2531- 4556).
Lucangeli D. Il tempo del noi. Mondadori, Milano,2022.
Lucangeli D, Vicari S. Psicologia dello sviluppo. Mondadori università, Firenze, 2019.
Tosti G. Io e Tu. Il pensiero di Martin Buber. Ed Studium, 2021.
Sitografia
https://www.facebook.com/lasilonelbosco/videos/3483456525243611
Zygmunt Bauman, ”I social media sono una via di fuga dai problemi reali” – Libreriamo